Covid e terrorismo islamista, la Francia non regge più
Cesare Martinetti | 29 octobre 2020
Macron diventa argine di un Paese travolto dalla più grave fase storica dai tempi della guerra d’Algeria.
Fiori e candele questa volta non basteranno, dice un sacerdote intervistato alla cattedrale di Nizza, i “politici devono proteggerci”. Emmanuel Macron arriva nel pomeriggio visibilmente scosso dall’attacco “islamista”. Quella parola – “proteggere” – l’aveva usata lui stesso poco più di venti ore prima in diretta Tv per annunciare il nuovo “confinement” (noi in Italia, meno nazionalisti, lo chiamiamo lockdown) di fronte al dilagare del Covid: 442 mila casi negli ultimi 14 giorni.
Era un appello alla protezione reciproca di fronte alla pandemia, ascoltato in diretta da 32,7 milioni di francesi. Appena il tempo di discuterne e arriva una richiesta diversa di protezione, ugualmente vitale, tragicamente più feroce. Altro sangue è stato versato nel nome del profeta Maometto, dopo la decapitazione del professore di Conflans, quindici giorni fa ad opera di un giovane ceceno, un tagliatore di gole dal nome di Brahim, scadendo il rituale “Allah Akbar”, ha sgozzato e pugnalato a morte altre tre persone.
La tenuta della Repubblica è messa a dura prova. Giusto ieri la Fondazione per l’innovazione politica, un think tank liberale diretto da Dominique Reynié, in collaborazione col Figaro, aveva diffuso i risultati del suo ultimo sondaggio: il 79 per cento dei francesi pensano di esprimere un voto “antisistema” alle prossime presidenziali (2022). E cioè: astensione, o voto bianco (nullo), o per i candidati delle estreme, sinistra o destra. Tutti hanno la sensazione di vivere in una società sempre più violenta; dopo il lavoro, la prima preoccupazione è per l’insicurezza e la delinquenza, molto più forte che per le diseguaglianze sociali, per l’immigrazione o il cambiamento climatico. In un paese sfiduciato – scrive oggi Le Monde nel suo editoriale dedicato all’emergenza Covid – l’unico “fermento di disciplina è la paura”.
Emmanuel Macron, questo Ufo politico arrivato all’Eliseo a soli 39 anni, senza un partito alle spalle, ma un movimento creato in meno di un anno che ha letteralmente disfatto il binomio destra-sinistra, gollisti-socialisti, su cui si era retto il sistema politico francese dopo De Gaulle, si trova ad essere confrontato con la più grave crisi istituzionale dai tempi della guerra d’Algeria. Per quanto altissimo (66 per cento) il consenso ricevuto nel ballottaggio contro Marine Le Pen, Macron aveva da subito sollevato riserve e sospetti, esplosi con la crisi dei gilet gialli, gli scioperi contro la riforma delle pensioni, una tensione sociale acutissima. Già nel 2017, al primo turno dell’elezione presidenziale, il 40 per cento degli elettori avevano votato contro il sistema, per estrema destra o estrema sinistra. La Quinta Repubblica è dunque a un passaggio cruciale che vale per tutti. È come se l’Europa intera avesse affidato al giovane presidente francese la capacità di tenuta del sistema contro i populismi e gli estremismi.
La crisi delle vignette di Charlie Hebdo su Maometto sta diventando la prova del fuoco e, come dice Pascal Bruckner nell’intervista all’HuffPost, il “paese è in guerra”. Attacco alla sua scuola laica con la decapitazione del professore di Conflans, alla comunità cattolica a Notre Dame di Nizza, alla sua posizione internazionale.
Tutto questo sangue pesa sul dibattito politico interno, divenuto a tratti isterico tra reciproche accuse di islamofobia, islamogauchismo e islamofascismo. E molti si sentono stretti nell’obbligo di incondizionata solidarietà con i vignettisti di Charlie che non rinunciano all’esercizio di un illimitato sberleffo, come nell’ultima copertina contro Erdogan. I cedimenti grandi e piccoli sono venuti nel tempo. A sfogliare gli archivi si scopre che il presidente turco, nel 2018, senza che nessuno lo contraddicesse, nel corso della sua ultima visita in Francia, aveva incontrato la comunità musulmana autoproclamandosi difensore dell’Islam nel mondo. Segnali che non andavano trascurati, come le spedizioni punitive organizzate dai “lupi grigi” turchi, ancora l’altra sera, a Décines nella banlieue di Lione contro la comunità armena.
“Meno vignette, più storia”, ha detto allusivo il saggio politologo liberale Dominique Moïsi nell’intervista ad Anaïs Ginori su Repubblica di ieri. Ma nessuno se la sente di infrangere l’unità nazionale sui principi. Il passaggio per Emmanuel Macron è molto stretto, ma oggi non possiamo non essere dalla sua parte.
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