L'euroscetticismo cresce di più in Italia e spopola tra i giovani. Adesso la sfida parte dalle scuole

Roberta Amoruso | 20 November 2017

Sorpresa. Gli italiani sono i più euroscettici tra gli inquilini del Vecchio Continente. Proprio lì dove sessant’anni fa sono state gettate le basi dell’Europa si covano i dubbi più forti sull’Unione europea. Qualcosa che supera anche lo storico nazionalismo della Francia, fa notare Marc Lazar, professore di storia e sociologia politica all’Institut d’études politiques (IEP) di Parigi nel corso del convegno del Messaggero Obbligati a crescere. Ma a guardare bene tra i numeri della recente indagine pubblicata in Francia dalla Foundation pour l’innovation politique e condotta in 26 Paesi, Usa compresa, con tanto di oltre 22mila interviste, si scopre che soltanto Croazia e Repubblica Ceca hanno un giudizio più duro sulla partecipazione al progetto Ue (un terzo degli italiani dà un giudizio negativo, altrettanti sostengono il contrario, e il resto dicono che il bilancio non è né positivo né negativo). Non solo.

L’Italia è anche il Paese meno affezionato all’euro in Europa, visto che il 45% dei nostri concittadini, meno della metà pensa che dovremmo mantenere la moneta unica, contro il 58% espresso dagli europei. Una fotografia che si fa ancora più scura se si pensa che gli italiani sono anche i cittadini Ue più tifosi di un immaginario ritorno alla lira. Il 41% lo farebbe senza battere ciglio e il dato va ben 10 punti oltre la media europea. «Risultato: l’ Italia è la più esposta ai populismi», dice Dominique Reynié, autore dell’indagine francese. Dove nasce il tanto pessimismo diffuso sul nostro Paese? Una risposta prova a darla lo stesso Lazar anche nel suo contributo all’indagine. «Le preoccupazioni degli italiani – scrive – derivano da una valutazione pesante degli ultimi vent’anni». E dunque, se gli italiani più degli europei vedono la globalizzazione come un’opportunità (il 62% contro il 59% Ue e il 44% dei francesi), la stessa percentuale di cittadini del nostro Paese pensano che nessuno dei cambiamenti avvenuti nelle ultime due decadi sia stato positivo per loro. Di più: il 47% lamenta un peggioramento del suo stile di vita e il 70% ritiene che comunque il suo tenore di vita sia a rischio.

E’ la fotografia di un pessimismo che spopola «soprattutto tra i giovani», spiega Lazar, e in particolare tra quelli con un livello più basso di educazione e residenti in ampi conglomerati urbani». Non solo. Lo scetticismo tocca anche la democrazia: «Il 33% dei giovani sostiene che finalmente forse può esistere un altro sistema politico».

Le Soluzioni

I numeri italiani, seppure più di quelli europei, portano però a un’unica conclusione per Lazar: «C’è ancora oggi un grandissimo malessere politico-democratico in Europa, con un grandissimo ritorno all’idea che il livello più interessante delle decisioni sarebbe quello nazionale, non quello europeo», sottolinea Lazar. I numeri dicono infatti che il 66% degli europei sono convinti che sia meglio prendere le decisioni a livello nazionale, anche quando evidentemente questo comporta una limitazione del livello europeo delle decisioni. Si capisce bene, dunque, perché «in alcune zone di questi Paesi Ue vorrebbero che contasse di più il piano regionale». Succede soprattutto dove si registra un forte divario: «Chi ha un certo livello di vita sviluppa una forma di egoismo», dice il professore francese. «È quel populismo di ricchi, convinti che l’unica soluzione sia da ricercare a livello regionale», o nazionale, come nel caso della Gran Bretagna.

E allora quali sono le soluzioni? Una risposta è possibile, purché si inquadri «che significa il modello europeo». Perché «tra le tante cose che si aspettano gli europei», puntualizza lo storico francese, c’è «una nuova narrazione sul Vecchio Continente». Insomma, «va ripensata quella piccola utopia di Europa, quel tipo di utopia che cerca di cambiare le condizioni di vita degli uomini nelle quali gli uomini vivono e capace di fare i grandi passi dell’umanità, come dice uno studioso americano. Ebbene, una delle grandi sfide, almeno per la gioventù europea, è convincere chi non ha avuto accesso all’educazione, chi è uscito del sistema scolastico, chi non trova impiego la grandissima opportunità che è l’Europa. Oggi i favorevoli alla difesa unica (57%) sono pari ai sostenitori dell’euro (58%). L’obiettivo può essere arrivare alle elezioni Ue del 2019, con il 58% degli europei favorevoli all’unione europea. «La parola d’ordine deve essere educazione, educazione, educazione».

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